Il Vaiolo nelle Puglie – Dott. Angelo Ricciardi – 1905
Su gentile concessione di Stefano Giove direttore del nostro quindicinale “La Goccia“, pubblico la relazione “Il Vaiolo nelle Puglie” del dottor Angelo Ricciardi sull’epidemia di Vaiolo che un secolo fa colpì Ginosa.
Chi è il Dott. Angelo Ricciardi?
Angelo Ricciardi nacque il 5 febbraio 1872 a Ginosa, provincia di Taranto. Dopo la laurea alla facoltà di medicina e chirurgia presso la Regia Università di Napoli diventa ufficiale sanitario del Comune di Ginosa per 32 anni.
Il Vaiolo nelle Puglie: relazione statistico-sanitaria del Dott. Angelo Ricciardi.
Dell’epidemia di Ginosa, 1905.
Al Sindaco e Consiglieri comunali di Ginosa.
È con vivo rincrescimento che ho l’onore di rassegnare alle SS LL Ill.me la relazione dell’epidemia di vaiuolo di Ginosa. Questo terribile morbo, pur non rivestendo i caratteri di pestilenzialità delle scorrerie saracene in Europa (1000 anni a C.) e di pandemia della guerra franco-prussiana (1879-70), versò nel lutto parecchie centinaia di famiglie e tenne in orgasmo continuo i nostri concittadini per quasi un anno. L’epidemia fu la più grave a memoria di ginosino, quantunque le altre ufficialmente non si abbia notizia alcuna per l’abbandono completo nel quale l’Ufficio Sanitario. Non ne furono causa l’accrescimento della popolazione ed il suo agglomeramento con aumento relativo della miseria e del contatto, ma la completa inosservanza di tutti i principi che la Medicina Sociale ha finora sovranamente sanzionato e che dogmi indiscutibili, dovrebbero essere da tutti messi in atto.
Ed io ho scritto, perché indottovi sia da obblighi del mio Ufficio, sia da sentimenti umanitari. Così potranno le SS LL Ill.me giudicare la mia operosità di Ufficiale Sanitario e, convinti della importanza economica e sociale della Igiene, sapranno adottare in seguito la vera e sana profilassi scientifica, abbattendo coraggiosamente tutti gli ostacoli, che le maldicenze del pubblico e la stupidità dei credenti potranno frapporvi.
Nel 8 luglio 1903 vennero denunciati all’Ufficio d’Igiene quattro casi di vaiuolo al rione Castello. Le mie indagini non valsero ad accertarne la provenienza. Ciò non ostante, provvidi all’isolamento di essi, mercé Guardie campestri piantonato l’ingresso delle loro abitazioni, obbligai le loro famiglie alla disinfezione di tutti gli oggetti di uso degli ammalati ed alla vaccinazione tutti coloro che con questi avevano contatto.
Tali misure di profilassi, dapprincipio sprezzate dal pubblico, furono poi tenute in conto, allorquando un ammalato, soccombente ad infezione gravissima di vaiuolo confluente.
Tutto faceva sperare che questi casi sarebbero rimasti sporadici, quando dieci giorni dopo me ne vennero denunciati altri quattro. Potetti constatare che, per mancata sorveglianza sui primi ammalati, questi altri individui avevano contratto l’infezione per contatto diretto con quelli per ragioni di parentela o di curiosità.
Aumentai la mia attività e raccomandai maggior rigore nell’adempimento delle prime prescrizioni: che anzi obbligai, con relativa ordinanza del sindaco:
Tenera a permanenza nella casa dei vaioloso un mastello d’acqua con soluzione di sublimato – 2 per mille – per immergervi almeno per un’ora le biancherie usate da esso;
Avere due catini con identica soluzione, perché vi fossero accuratamente lavate le mani tutti quelli che toccavano gli ammalati o gli oggetti sospetti di infezione;
Cospargere con sostanze grasse – vaselina, lanolina – il corpo del vaioloso ed in special modo il suo volto e le sue braccia;
Bagnare di frequente i pavimenti degli ambienti con sublimato in soluzione all’uno per mille;
Ridurre a poche ore il periodo di osservazione die morti e questi, avvolti semplicemente in un lenzuolo bagnato con sublimato alluno per mille, fossero trasportati direttamente al cimitero;
Sottoporre a bagno di disinfezione il corpo del malato, a croste del tutto scomparse, e disinfettare con acqua bollente e con sublimato gli abiti di esso e delle persone che vi avevano avuto contatto prima di rimetterli in libertà;
Disinfettare nel quinto e sesto caso le abitazioni con lavaggio delle pareti e dei pavimenti con sublimato al 5 per mille e con consecutivo imbianchimento con latte di calce al 20 per cento di recente preparato, nonché tutti gli oggetti – mobili biancheria ecc. contenuti nella camera dell’infermo,
Chiusura delle scuole elementari, nelle quali vi accedevano parenti degli individui affetti da vaiuolo.
Tutti questi provvedimenti ebbero la suprema sanzione del Medico Provinciale, sig. Dott. Alfonzo Cav. Capanna, il quale volle anzi rendere più pubblico l’isolamento, facendo affiggere sulle case una targhetta di legno con l’impronta del timbro del municipio e con la scritta “Casa Infetta”, ed anche una copia della sopraddetta ordinanza del sindaco.
Con tali mezzi se rigorosamente seguiti si sarebbe risparmiato al paese tanta sventura! Ma l’ignoranza e la malafede di coloro che erano preposti all’osservanza delle sopraddette disposizioni, rendevano frustranti i miei sforzi e spesse volte, per assecondare le idee degli ignoranti, deridevano ogni idea di contagio. Non valsero le mie giuste rimostranze e le mie preghiere all’autorità: tutto lasciava il tempo che trovava! Né lasciava migliore sito ebbero le mie istruzioni verbali alle guardie, che io spesso riunivo a conferenze, cercando di convincerle con esempi pratici della contagiosità del vaiuolo e della necessità del perfetto isolamento dell’ammalato e di coloro che con questo avevano contatto. Ci furono, invero, delle guardie che dimostrarono alquanto zelo, o per dir meglio, minore negligenza, ma esse sole non potevano bastare ala conseguimento delle scopo prefissomi. Nel pubblico poi cominciarono a circolare dei gravi malumori. Ad alcuni le ordinanze sembravano inumane anzi draconiane, ad alcuni altri inutili ed inefficaci, ad altri infine illegali, né mancarono i cretini e i maligni che consigliarono alla disobbedienza. Per maggior iattura sopravvenne una sentenza del Pretore che assolvette un individuo, che, noncurante delle ordinanze emesse, volle a viva forza penetrare nella propria abitazione ed uscirne a proprio talento.
E così le cose procedevano di male in peggio, mentre il vaiuolo estendeva i suoi artigli, tanto che si ebbero perfino 8, 10 denunce al giorno. Aumentato il numero delle case infette, la sorveglianza diminuiva per mancanza di guardie, di cui la stessa amministrazione rifiutava aumentare il numero per ragioni finanziarie, come se la vita di diecimila cittadini, non fosse superiore a poche centinaia di lire spese per il bene di essi!!!
Il Medico Provinciale, venuto di nuovo tra noi, non poté fare a meno di deplorare la negligenza di coloro, cui solenne incombeva l’obbligo di tutelare il perfetto ossequio della Legge. E da un esame sommario vide bene con quanto scrupolo e rigore erano adempiute le ordinanze emanate dal Sindaco!… Le case infette abbandonate dalle guardie, gli ammalati convalescenti liberi di conversare in mezzo alla strada, quelli gravi assistiti da fraterno e pietoso affetto dai congiunti e da amici. Tutte le misure di profilassi erano ridotte, quindi, nella più empirica forma: la tabella nera con “Casa infetta” e la variopinta ordinanza sulla parete: ecco tutto! Il numero dei malati, attualmente in cura, era di già di quarantotto e per maggior sfortuna sparso su tutto l’ambito dello abitato, irto di per se di difficoltà logistiche, e custodito malamente da otto guardie campestri.
Si vide allora la necessità di provvedervi urgentemente con maggior rigore e si provocò dal Sindaco una nuova ordinanza con al quale si ingiungeva:
l’obbligo della denunzia dei vaiuolosi o sospetti al Sindaco, tanto da parte dei genitori, quanto di coloro che per ragioni di parentela o vicinato, ne venivano a conoscenza;
il trasporto dei vaiuolosi in cura e dei convalescenti in un lazzaretto, previa disinfezione delle case da loro abitate, o per gli abbienti che vi si rifiutavano un deposito di lire cinquanta, per il pagamento della guardia preposta all’isolamento a domicilio;
Ai contravventori a simile ordinanza, applicabile il deferimento all’Autorità giudiziaria per la comminatoria dell’art. 59 della Legge sanitaria (22 dicembre 1888 n. 53 49) con una multa, cioè, estendibile a lire 500 e col carcere da uno a sei mesi, salvo le maggiori pene stabilite dal codice penale.
A tutto ciò si aggiunga il decreto del Prefetto in data 16 settembre 1903, col quale era resa obbligatoria la vaccinazione e la rivaccinazione a tutti gli abitanti del Comune ed erano vietati i pubblici assembramenti sulle piazze, sulle vie, nei teatri, le processioni e le fiere.
Come ben si vede da parte delle persone tecniche nulla fu trascurato nel consigliare tutte le energiche misure, di cui la Scienza finora è in possesso.
Ma ebbero queste ordinanze miglior fortuna delle consorelle? Emanate dalla stessa autorità colla medesima indolenza, non potevano partorire effetti differenti! La vaccinazione costituiva la bestia nera: alcuni credevano che con tale mezzo i Medici, untori redivivi della peste di Milano, diffondessero a proprio guadagno il vaiuolo; altri, ancora, pretendevano dai Sanitari il compenso delle giornate perdute in caso di esito positivo.
A dissuaderli non valse l’esempio di poche famiglie intelligenti, che, prime fra tutte, vi si ottemperarono. E si deve solo alle influenze morali dei medici, se si potettero eseguire quasi a viva forza circa 5000 rivaccinazioni.
L’obbligo della denunzia e del ricovero per i vaiolosi nell’istituto lazzaretto valsero poi a diffondere maggiormente l’epidemia, perché, se prima non chiamavano il medico, temendo l’isolamento a domicilio, ora vi rifuggivano addirittura, sapendo di essere mandati in luogo dove gli ammalati vengono squartati vivi ad ammaestramento della Scienza medica: tanto è la potenza dell’ignoranza accresciuta dal non esservi in questo Comune tanto importante alcuna opera pia, quantunque un ricco Notaio, Costanza, abbia voluto provvedervi.
Ciò non ostante, l’Amministrazione dopo vivissime insistenze del Prefetto, istituì un lazzaretto con otto meschini pagliericci in un locale umido e con pareti crollanti. Ma chi vi andò? Circa 300 lire furono sciupate per questa casa d’isolamento che fu poi adibita a sala di osservazione per i cani sospetti di rabbia! Risum teneatis?…
Ed il vaiuolo continuava la sua corsa sfrenata avvincendo nelle dolorose sue spiarli innumerevoli vittime!
Il Ministero dell’Interno s’interessò del miserando stato di questa Cittadinanza ed inviò un sussidio di lire 300; così fece pure la Prefettura con lire 200 e con somministrazione di medicinali disinfettanti, di una pompa Gattorno e di un apparecchio Aronson-Schering. Ma tutto ciò rimase ornamento eroicomico di una sala municipale! Solo qualche volta per curiosità si fece presso alcuno funzionare la pompa.
Colgo intanto quest’occasione per adempiere ad un dovere di cittadino e di Ufficiale sanitario, nell’esternare i più profondi sentimenti di gratitudine sia alle autorità politiche che al Medico Provinciale. Giungano ad Essi graditi i cordiali ringraziamenti della Cittadinanza tutta per il vivo interessamento da Loro preso nel coadiuvarci sia finanziariamente che scientificamente per estinguere così infausta epidemia.
Fra tanto ben di Dio siamo giunti alla fine di settembre, cioè alla festa e alla fiera che costituiscono l’unico cespite di risorsa finanziaria per questo Comune. In tal periodo di tempo già si contavano 117 casi di vaiuolo ufficialmente denunziati, con 32 decessi.
I malumori della popolazione, creduta vessata da tali ordinanze, acuiti dal divieto delle feste, serpeggiavano più forti per nefasta opera di mestatori ed interessati. Ed incalzanti erano le domande al Sindaco ed a me per ottenere l’abrogazione del Decreto Prefettizio, né erano sufficienti a calmare le ire bollenti dei caporioni le promesse che le feste si sarebbero fatte, appena le condizioni igieniche fossero migliorate. Ne informai subto il Medico Provinciale, raccomandandogli di accontentare i desideri di questa popolazione: così pure fece il Sindaco al Prefetto. Ma il fanatismo religioso, che attribuiva alla sospesa venerazione del culto per la nostra SS. Protettrice, il diffondersi della epidemia eccitò talmente la Cittadinanza che la sera del 2 ottobre organizzarono una dimostrazione ostile.
Dapprima pochi monelli, poscia parecchi adulti, circondarono me obbligandomi a dare l’assenso alle feste. Cercai di dimostrar loro l’inutilità di tali assembramenti e di tale richiesta fatta a me, perché tutto dipendeva dal Prefetto, il quale, d’altra parte non era punto alieno dall’appagare i loro desideri, tosto che l’epidemia fosse diminuita. Tutto fu inutile; che anzi, cresciuti di numero e protetti dall’oscurità cominciarono ad inveire con minacce per la mia vita, tanto che fui costretto a rifugiare nella Caserma dei RR. Carabinieri. Altri dimostranti, intanto, avevano fatto appello al Sindaco ed al Consigliere Provinciale per lo stesso scopo. E questi, più fortunati di me, riuscirono a calmarli alquanto, telegrafando al Prefetto per fargli presente lo stato parossistico di questa popolazione, pronta a qualunque eccesso di violenza se i loro voti non fossero esauditi. Di tale anormalità ebbe presto a convincersi anche il Medico Provinciale, recatosi qui novellamente, e si d ed alle sue promesse se tumulti deve solo alla sua perspicacia se tumulti più gravi non si verificarono.
Le feste quindi si fecero!… E mentre le musiche ed i fuochi di bengala allietavano i cittadini, il vaiuolo festeggiava anch’esso la sua liberazione!…
Individui convalescenti da pochi giorni, con le pustole ancora vive sul volto e sulle mani gironzavano per le vie, per i negozi e per le Chiese regalando a tutti parte dei loro preziosi amuleti che costituir potevano la causa di altre infezioni e forse anche di altre morti. Da allora in poi, i vaiuolosi già cresciti di numero a dismisura ed abbandonati alla terapia naturale erano i veri despoti della vita degli altri. Non v’era quasi famiglia senza vaiuolosi: ciò malgrado ai Medici non ricorrevano che nei momenti più gravi, e molti solamente per il certificato di morte!…
Quand’innanzi io non potetti più seguire l’epidemia: ogni mezzo di profilassi, isolamento, cioè, disinfezione, vaccinazione ecc., divenne un ignoto mito dei tempi preistorici, e le denunzie servirono dei solamente a disimpegnare un obbligo di pura burocrazia.
Dalla statistica ufficiale risulta che l’epidemia ebbe termine ai primi di febbraio; ma in verità questa si protrasse ancora in forma clinica più benigna, quasi stanca e entità di aver versato nel lutto tante famiglie di cui molti rimpiangeranno per sempre la immatura perdita dei propri congiunti!…